Il mio Alvi Trail 2018: un viaggio lungo 400 km, alto 17000 D+, un viaggio durato 8 giorni, un viaggio duro, difficile, un viaggio meraviglioso. Un viaggio nella Liguria che non conoscevo, un viaggio nella Diana che credevo di conoscere. Un viaggio nelle emozioni più stupide e in quelle più profonde. Un viaggio nelle sensazioni che il corpo non mi aveva mai trasmesso, nel dolore fisico, nella forza mentale, nella paura di non farcela e nella gioia di avercela fatta. Mille volte nelle mie ore di corsa e cammino mi sono detta di aver fatto il passo più lungo della gamba, di aver sottovalutato la gara e, cosa ancor peggiore, di aver sopravalutato me stessa. Eppure ogni sera passavo sotto il gonfiabile dell’arrivo, ogni mattina mi trovavo a quello della partenza. Con le mie care vesciche che mi hanno accompagnata fin dal primo giorno, con gli acciacchi che di giorno in giorno aumentavano. E anche quando mi dicevano che con quelle voragini nei piedi avrei dovuto fermarmi, io sentivo che potevo farcela. Ho avuto attimi di debolezza e ore di forza. E non perché io sia un eroina, non perché sia meglio di altri, ma perché volevo arrivarci in fondo a questo viaggio. Perché incoscientemente l’ho voluto, perché sono partita in un momento per me difficile e mi serviva dimostrare a me stessa che potevo farcela. Ho impiegato tante più ore degli altri per arrivare in fondo ma io sento di aver vinto. Da questo viaggio torno con un bagaglio molto più grande di quello della partenza. Torno con una consapevolezza di me che cercavo da tempo. Torno con la convinzione di aver fatto col cuore una scelta di vita importante seppur non semplice. Torno con la gioia di aver incontrato persone straordinarie. Torno con paesaggi stupendi negli occhi, torno con la capacità di seguire le impronte per non perdermi, torno con gli insegnamenti di come davvero funziona il suunto, torno con una app per seguire le tracce gps. Torno con la capacità di dormire su un materassino, in una palestra con altre 40 persone, con due bagni per tutti, senza uno specchio per otto giorni. Torno con la capacità di adattarmi ad avere poco e nessuna comodità.
Grazie Luciano Bongiovanni, l’ideatore e l’organizzatore di questa meravigliosa avventura. Grazie Antonio, per aver trasportato tante volte al giorno e sempre col sorriso, tutti i nostri bagagli. Grazie caro dottore Bruno Thomas, sempre al nostro fianco, giorno e notte. Mi hai curata mattina e sera per 8 giorni e non solo il corpo....per fortuna parlo francese e non mi sono persa le tue “pillole” di saggezza e sensibilità. Grazie Sergio Pitzalisper le splendide foto, per averci seguito passo passo, per la pazienza di aspettare anche gli ultimi, per aver fissato momenti che altrimenti sarebbero andati persi. Grazie a tutti i miei compagni di avventura, Fabio de Nisi, Giancarlo Gasparin, Paolo Bosio. Grazie a Davidino Messner Dessì per avermi dato della vecchiarda ad ogni occasione, per aver diviso con me le tachipirine, per aver percorso al mio fianco quasi due tappe di questo viaggio, e si...per avermi aspettata e tagliato il traguardo con me in più di un’occasione. Mi mancheranno le risate che mi hai fatto fare! Grazie alla mia cara amica Adriana Bovecchi per avermi sostenuta sempre con un messaggio o una parola e per essersi fatta trovare di sorpresa alla tappa di Busalla! Grazie Claudia Pulcix Zetti per le botte di “Vai Baghy”! Grazie alla mia splendida mamma Mirella Angeli e a Carlo per la carrambata a Castiglione Chiavarese...mi sono commossa, è stato bellissimo! Grazie infinite a tutti i collaboratori dell’organizzazione, ai volontari, a coloro che in qualche modo ci hanno sopportato e supportato. Grazie a Paolo King Capriotti e al gruppo di Correre Naturale per i preziosi consigli. Grazie ADACTA sport e Andrea Portaluppi per il sostegno. E , infine, un grazie speciale a Pietro, mio compagno di vita, per avermi, ancora una volta, portata al traguardo. Senza di lui tutto questo non sarebbe mai iniziato.
Alvi Trail 2018 - Il racconto di Diana Barbieri
